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Quaderno della Ricerca
di mobilitare diverse componenti del proprio sapere pregresso in relazione al compito da
affrontare. Da qui viene il carattere aperto dei compiti autentici che lasciano l’opportunità
al soggetto di utilizzare soluzioni. Infine si tratta di prove che stimolano l’interesse degli
studenti. Ciò attraverso la predisposizione di situazioni sfidanti, non scontate, in cui
mettersi alla prova individualmente o assieme agli altri per affrontare il problema posto.
In letteratura circolano diverse espressioni avvicinabili a quella di compito autentico:
compiti di realtà, compiti esperti, compiti di prestazione, situazioni problema, compiti in
situazione, compiti unitari di apprendimento e similari. Diciamo che, dal punto di vista
semantico, si tratta di espressioni che, pur con diverse sfumature e attingendo da correnti
di pensiero e orientamenti culturali differenti, intendono designare prove di verifica
orientate verso l’accertamento di competenze. Nel modello qui adottato (Castoldi 2017),
la specificità risiede nel considerare la prova come verifica della capacità da parte dello
studente di mobilitare e utilizzare i propri saperi e, in senso più globale, le proprie risorse
personali per affrontare una situazione di vita.
Fra le diverse tipologie di compiti autentici, il CPIA cl en ha preso in considerazione il
“compito di realtà”, che designa un compito da affrontare connesso alla realtà che ci
circonda: l’espressione “compito” va intesa come situazione problematica da affrontare.
Tale espressione tende a essere utilizzata non solo in riferimento alla costruzione di prove
di verifica, ma anche per indicare lo sviluppo di percorsi didattici che collocano al loro
centro, appunto, compiti di realtà. E come tale è stata adottata dal Cpia Cl En, il cui
curricolo è per competenze e ruota intorno ai compiti di realtà. Ciononostante il modello
teorico e operativo a cui si fa riferimento è quello di Castoldi (2017) che però preferisce
parlare di compiti autentici.
L’espressione “compito autentico” è proposta nella letteratura valutativa da un autore
come Wiggins, ad esempio, proprio per designare genericamente una prova di questo
genere: una situazione problematica che solleciti una prestazione complessa nel soggetto
a cui è rivolta, orientata a mobilitare l’insieme delle sue risorse personali, in modo da
rendere la valutazione stessa meno inerte e incapsulata dentro un sapere meramente
scolastico e più capace di restituire le potenzialità del soggetto nell’impiegare i propri
apprendimenti nelle situazioni di vita che può trovarsi ad affrontare (cfr. Wiggins, 1992).
Ciò consente di considerare il “compito autentico” come occasione per accertare il grado
in cui è posseduta una determinata competenza, e come strategia per rendere durevole la
propria comprensione del senso di un determinato sapere. Solo così il discente potrà
trasferire tale sapere nei diversi contesti di vita.
Sulla scia di questo modello, riportato in Castoldi (2017), il CPIA Caltanissetta Enna ha
elaborato una serie di indicazioni operative per l’elaborazione di compiti autentici. In
primo luogo la prova di verifica autentica deve essere caratterizzata da uno stimolo i cui
due requisiti chiave sono la rielaborazione e la significatività. La loro presenza è
condizione necessaria e sufficiente per lo sviluppo di un compito autentico. I principali
criteri distintivi che i compiti autentici devono possedere sono i seguenti.
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